«Lungo l’antico e ripido tratto della via Aretina, poco prima di giungere al casale dell’Apparita, sorge un grandioso e severo edificio».
Così il Carocci, importante storico locale, descrive l’antico Spedale del Bigallo fondato nel 1214 da Dioticidiede di Bonaguida del Dado.
Il toponimo “Bigallo” può essere ricondotto alla denominazione del luogo di Bivius Galli, in quanto bivio tra l’antica via del Gallo e la via Aretina.
Nel 1245 la proprietà e la gestione dello Spedale passò ad una confraternita religiosa di Firenze, formata principalmente da laici: la Compagnia di Santa Maria Maggiore, che prenderà il nome di Compagnia del Bigallo. Lo stemma della Compagnia divenne un gallo in campo azzurro, con la sigla S.M.B. (Sancte Marie de Bigallo).
Alla fine del Quattrocento lo Spedale accolse le monache provenienti dal Monastero di clausura di Casignano, che ne fecero il loro nuovo convento ufficialmente nel 1503, mantenendo aperto lo spedale per poveri e viandanti. La clausura a cui erano tenute le monache comportò la netta separazione dei due ambienti (spedale e monastero) e la chiusura dell’orto-giardino con alte mura. Nel corso del 1600 venne modificata la chiesa e costruita la sagrestia. Quando nel 1808 il monastero venne chiuso dal governo francese tutto il complesso divenne l’abitazione per diverse famiglie di contadini.
Si narra che durante l’assedio della città di Firenze da parte del Principe d’Orange, arrivato questi sul colle dell’Apparita, sovrastante il Bigallo, esclamò: “… Se avessi una patria così bella la difenderei …!”
La presenza dell’acqua per il complesso era assicurata dalla Fonte Viva, fontana posta proprio in posizione antistante all’ingresso dello spedale, dalla quale l’acqua veniva convogliata e canalizzata nell’edificio.
All’interno dello spedale, proprio nel primo vano di ingresso, l’importanza della presenza dell’acqua viene inoltre manifestata da una prima fonte, costituita da elementi in pietra con una composizione molto semplice, ricavata nella muratura perimetrale del vano; la bozza lapidea che costituisce la ghiera dell’arco a tutto sesto della piccola fonte riporta l’iscrizione di “Acqua Landina”; attualmente non si ha più l’arrivo e la presenza dell’acqua in tale elemento. Un’altra piccola fonte, anch’essa ad oggi in disuso e peraltro deturpata in ogni suo elemento architettonico, si trova nel cortile interno dell’edificio, quale altro elemento che segnala l’importante impiego dell’acqua per la fruizione del complesso edilizio.
Nei vani seminterrati contigui a tale loggiato, si può ammirare l’affascinante stanza del bucato che conserva ancora l’incavo murato per posizionare la “conca” per il lavaggio dei panni, ed un interessante sistema di canalizzazione delle acque. In questi vani è infatti possibile osservare la costruzione di un singolare manufatto laterizio, che corre parallelamente all’andamento della muratura stessa del vano, costituito da arcate sorrette da massicci e tozzi pilastri che sorreggono tale struttura la quale risulta scavata internamente per il contenimento e la canalizzazione dell’acqua: in pratica una sorta di antico acquedotto.